Guerra.

Riferendosi alla crisi economica che il nostro paese e il mondo in generale sta incorrendo molte persone hanno più volte citato il dopoguerra. Poiché, si stima che la crisi che subiremo sarà di una portata tale da ricordare quella che diversi paesi vissero dopo la seconda guerra mondiale.

La parola guerra fa riflettere, per la maggior parte di noi che non l’hanno vissuta, se non per sentito dire e tramite i libri di scuola.

Ma quella che stiamo vivendo oggi è a mio avviso a tutti gli effetti una guerra. In conflitto non vi sono paesi che lottano per la supremazia, ma gli attori di questo scontro sono da un lato l’uomo, gli uomini di tutto il mondo, e dall’altro la sua ineluttabile vulnerabilità.

Quelli che siamo chiamati a combattere realmente ed individualmente, sono gli effetti collaterali, di questa pandemia.

È una guerra contro tutti, contro noi stessi, contro i nostri vicini, contro il prossimo, è uno scontro che si combatte con un’arma autolesiva ed è la distanza.

Il primo nemico siamo noi stessi, dobbiamo armarci di privazioni per fronteggiare questo avversario che fa delle sue vittime i suoi alleati. E per farlo, dobbiamo rinunciare a molte delle nostre libertà, a partire da quella della libera circolazione a quella che ci impone una circolazione, quando concessa, secondo particolari condizioni. Necessitiamo di un’armatura: vestiamo una mascherina e dei guanti, muniti di gel disinfettante. Un disinfettante, che assume l’importanza e la crucialità di un’arma in caso di legittima difesa. Difesa da un attacco, spesso autoindotto per ingenuità, altre volte per circostanza.

L’esterno è il nostro secondo nemico: le nostre abitazioni diventano l’unico luogo sicuro ed il mondo esterno, uno degli attori del pericolo. Sono gli scaffali di un supermercato, le sedie dei mezzi pubblici, qualsiasi oggetto presumibilmente maneggiato da un’altra persona in una non lontana precedenza.

Il terzo attore del nostro rivale in questo conflitto, un terzo nemico, sono le persone. Sono gli altri. Siamo appartenenti ad una specie che per definizione ci ritrae come degli animali sociali e l’identificazione del nemico nei nostri simili è senza ombra di dubbio una realizzazione angosciante, e la più difficile da vincere. Vivere senza interazioni fisiche si rivelerà più difficile di quanto non immaginiamo. I nostri affetti personali, diventano automaticamente equiparati al resto di una popolazione che non si conosce, e dai quali siamo chiamati a prendere le distanze. Questa situazione è sul lungo periodo quella più lesiva, quella che lascerà più ferite, una volta giunti alla quiete dopo la tempesta.

Ci rende deboli.

Questa guerra dichiarata silenziosamente da un rivale invisibile di cui non eravamo a conoscenza, è una guerra alla quale non eravamo preparati. Non eravamo pronti. Nessuno ci ha mai insegnato o simulato la condotta in uno scenario del genere: siamo vittime di una spietata novità.

Molti di noi, non sono forti abbastanza. Non dobbiamo nasconderci dietro a del positivismo tossico e immotivato, la nostra è una realtà frammentata in cui c’è spazio per le criticità di tutti. Quello che era un normale variopinto scenario di una società è diventato inavvertitamente un campo di battaglia dove tutte le debolezze e le lacune personali sono drasticamente amplificate.

Molte persone non erano pronte ad una convivenza forzata semplicemente con sé stessi.

Le vittime di guerra saranno tantissime.

Molte di queste saranno invisibili agli occhi, così come fu il nostro nemico. E sarà difficile scovare il dolore in tutti, e sarà ancora più ambizioso realizzarlo per coloro che non ne sono ancora a conoscenza.

Non abbiamo una stima a cui aggrapparci: in questa guerra non sono previsti armistizi.

Non esistono previsioni che siano in grado di calcolare con esattezza quando potremo tornare al mondo che conoscevamo prima, e parallelamente in ognuno di noi è forte la convinzione che quel mondo non tornerà più. L’incertezza del conflitto si presenta spietata in un periodo storico dove l’incertezza come ostacolo alla serenità stava già prendendo piede, di fronte alle prime crepe di un sistema produttivo oramai vacillante.

La velocità e la simultaneità ambita dalle nuove tecnologie e riversate sui seguenti social network ci ha abituato a credere che spesso fosse più appagante il tempo speso online, a distanza, in vetrina di fronte a tutti, e a nessuno allo stesso tempo. Ed ora che abbiamo solo questi preziosi strumenti, abbiamo avuto l’occasione di riconoscerne i limiti.

Non molti anni fa divenne virale la frase “give people your love, don’t give them your like”.

Questa sorte ci ha costretto a vivere in una circostanza dove il like, ed ogni altra interazione tramite il nostro smartphone, è l’unica forma interazione sociale concessa e sicura, per il nostro love.

tenor

 

 

 

 

 

 

 

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