Quando nel 2014 le persone mi chiesero quale facoltà avrei intrapreso, storcevano il naso sentendo rispondere la parola “comunicazione”. Nessuno sapeva esattamente di cosa si trattasse, e molti, se non la maggioranza, associavano quella branca alla via più semplice ma dignitosa per diventare un disoccupato del nuovo secolo.
Ad oggi posso ritenere quella scelta una scelta lungimirante, compiuta mosso da motivazioni più che legittime.
Ritengo, inoltre, ogni persona che studia comunicazione con uno spirito critico adeguato e dotata di una mente sufficientemente elastica, una persona privilegiata.
Abbiamo gli strumenti e le dispense per capire, conoscere ed utilizzare a dovere quello oramai tutti oggi utilizzano ogni giorno.
E quello che tutti gli altri hanno la innocente presunzione di capire e conoscere.
Social network, siti di e-commerce, news online, fake news, manipolazione mediatica, propaganda, arte di oratoria, la sociologia della comunicazione, lo strumentalismo e la strumentalizzazione, i programmi televisivi costruiti a tavolino e le menti brillanti piegate dietro alla sofferenza arrogante di chi si scaglia contro il mondo attraverso una tastiera.
Viviamo un momento buio, e chi non lo vede, è un cieco che non ha mai conosciuto luce.
Questo momento buio non è solo un momento in cui persone con grandi poteri prendono decisioni discutibili, che non si riflettono con la nostra filosofia di pensiero e il nostro credo.
E’ un momento buio di modalità. Lo sviluppo tecnologico, il web 2.0, hanno comportato un’evoluzione tecnica che però non è stata seguita da un’evoluzione alla pari, sul piano etico e sociale. Non sappiamo quello che facciamo. Sappiamo come si utilizzano le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione, ma non ne conosciamo i reali effetti.
Non sappiamo quantificare la portata delle conseguenze, ammesso di avere la lucidità per riconoscerle.
Un post su Facebook. Una storia su Instagram. I politici sui social network. Personaggi che 24 ore su 24 ci aggiornano su cosa fanno, come lo fanno con chi e dove. E chi crede loro, sono solo da distinguere tra ingenui, illusi e speranzosi.
Davvero nessuno di voi si rende conto del cambiamento radicale e spaventosamente rapido del mondo della comunicazione oggi?
Quanti di voi sarebbero stati disposti a caricare sul web una qualsiasi cosa, ogni giorno, come potreste fare oggi, in quel 2014? Chi di voi aveva Instagram? Io sì, il mio account Instagram è attivo dal 2012, e quelli nella mia stessa situazione possono vedere con la stessa nitidezza il change al quale mi riferisco.
Controllate il tempo di utilizzo dei vostri iPhone implementato da Apple questo ottobre. Guardate le app. Controllate il tempo. E sottraetelo alle 24 ore di una giornata.
Il bello della comunicazione é che non puoi farne a meno, e se la conosci puoi usufruirne in molteplici campi. La condanna, è il suo stesso privilegio.
Siamo stuprati da informazioni, che assumiamo passivamente o attivamente, e persino chi crede di esserne incolume commette un errore di valutazione. È solo un’altra forma di cecità: non essere sul web non vi risparmia, vi rende solo meno consapevoli e partecipi in senso attivo del mondo che vi circonda.
E forse, da un lato, fate anche bene.
Se fai uno scherzo con i tuoi amici al dopo scuola in classe è un conto. Se cento persone del tuo liceo vedono lo stesso aneddoto è un altro conto con altri riscontri. E se invece fai della goliardia col cibo di fronte a sette milioni di persone, per esempio, la conseguenza è nuovamente un’altra.
Così come una persona con una visibilità tale, come un personaggio politico o dello spettacolo, in pubblico deve mantenere un certo ordine e tenere un decoro, si presuppone che lo stesso sia necessario per coloro in pubblico scelgono spontaneamente di starci ogni giorno, costantemente.
E’ sempre stato raccomandato in pubblico, alle famiglie reali, ai dirigenti, agli imprenditori, ai politici, ai ragazzi a messa e ai bambini a tavola. Ma fino ad allora il pubblico era contenuto, nel tempo e nello spazio.
Oggi no. In base alle nostre scelte, e a come ci comportiamo in questa società 2.0, possiamo ottenere la questa visibilità, quella stessa visibilità, con spettatori in quantità e qualità differenti, senza che nessuno ci dica che dobbiamo tenere quel certo ordine. E decoro.
Senza che nessuno senta, almeno fino ad ora, quel bisogno. Scandali come quelli del supermercato di Fedez sono grida disperate di un ordine ed un controllo che stanno mancando. E che urgono.
Ma non si tratta di censura, ma educazione: perché non crescono tutti Tarzan, nella giungla.
Ecco un aneddoto che farà gelare il cuore di coloro che sono intelligenti abbastanza per andare oltre le posizioni politiche ed il giusto o sbagliato della manifestazione in questione.
Se uno strumento che è nato per connettere le persone, e creare momenti piacevoli per il passatempo, decidi di utilizzarlo per la tua professione (comunicare un qualcosa ma con fine propagandistico e politico) e ricopri un ruolo come quello di un ministro di una delle Repubbliche più importanti del pianeta, non puoi permetterti di cadere in certe dinamiche sociali ne esserne complice.
“Grazie a questa propaganda, Salvini è responsabile di essere il mandante di una violenza che non si ferma a quella verbale, ma da mesi si esprime in aggressioni vere e proprie. Dichiara di essere contrario alla violenza sulle donne, quando poi è il primo a dare in pasto ai social una studentessa”
Ad oggi, quindi, reputo la mia scelta del 2014 una scelta mossa da legittime motivazioni ma ignara, come tutti noi del resto, delle conseguenze. Poiché per me, personalmente, studiare comunicazione oggi é una condanna.
Gli studenti di comunicazione non sono certo gli unici ad avere le competenze per interpretare o per lo meno captare questo scenario analiticamente. Ma sono gli unici, che teoricamente, dovrebbero fare di questo scenario il loro lavoro.
E così come un chirurgo che incomincia ad impressionarsi di fronte al sangue, io incomincio ad impressionarmi di fronte a tutto ciò. Come una microviolenza, continua.
Il problema di oggi è che la libertà d’espressione viene confusa e tradotta come un modo legittimo di dare lo stesso peso ad una voce ignorante priva di fondamenta ed ad una voce invece ponderata e provata.
Benvenuti in scienze della comunicazione, le merendine le trovate un po’ più in là.