24.

Premete play.

È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto qualcosa col cuore, senza poi pentirmene.

Ogni concetto, ogni lezione, ogni esperienza, spogliata della mia impersonificazione diveniva una banalità difficile da inserire in questo spazio, che custodisco intimamente sotto gli occhi di tutti.

Sono gli ultimi giorni da 23enne, ed il traguardo dei 24 anni porta con se tante consapevolezze che lo rendono ai miei occhi più una meta da temere, che un naturale passo della vita.

Perché di passi ne ho fatti tanti, anche quando credevo di essere immobile. E mentre mi guardavo, fermo di fronte allo specchio, in realtà il tempo scorreva.

Perché non ho mai smesso di sentire vicini quei momenti in cui anche il solo alzarsi la mattina, era un traguardo.

Ed oggi spesso ignoro da dove sono ripartito, forse complice anche di chi mi circonda, che inconsapevolmente si fa portavoce questa normalità sudata con insonnie incalcolabili.

Così ti guardi allo specchio, e noti che in questo tempo il tuo aspetto cambia, il tuo corpo cambia. Visibilmente hai a tutti gli effetti un aspetto più maturo, non sempre facile da accettare.

L’aspetto di un 24enne è l’aspetto di qualcuno che volente o nolente ha già imbarcato una strada, forse non quella che aveva previsto, forse non nei tempi in cui l’aveva desiderata, ma cammina, da un bel po’ di anni. E sa che le scelte future saranno ancora più determinanti di quelle precedenti perché i numeri di retrofront sono limitati, e probabilmente li ha già usati tutti.

Giovani per sempre è bello solo se l’alternativa non è all’altezza, ed oggi l’ageing assume dei connotati negativi a causa dell’incertezza perenne in cui siamo coinvolti, dove nessuna costruzione sembra creata per durare, ma vede il suo unico scopo nella sua stessa realizzazione. Approssimativa, volta al soddisfacimento di bisogni impellenti ed irrisori.

Volere il massimo nel minor tempo possibile è qualcosa a cui le nuove tecnologie e le loro conseguenze sociali ci hanno abituato, riflettendosi spesso nel modo in cui ci approcciamo agli altri, nel modo in cui instauriamo e gestiamo i rapporti, nel modo in cui lavoriamo.

Io non sono sicuro di essere all’altezza di portare quesi 24 anni come meriterebbero di essere indossati, con un bagaglio professionale conoscitivo e un’indipendenza emotiva adeguati alle responsabilità che questo ventiquattresimo rintocco richiede.

Ma so che ho fatto del mio meglio.

E allora quando sarò di fronte allo specchio, per ogni nuova ruga d’espressione, dovrò impegnarmi nel ricordare quanto mi è costato sorridere tutte quelle volte, quanto è stato impegnativo pronunciare il viso per urlare grida di dolore così come per quelle di gioia, quanto è stato indispensabile incupire il viso per accettare il fatto che non stavo accettando qualcosa.

Dovrò ricordarmi che i segni più belli saranno quelli nati dalle lacrime. Come quelle versate quella volta in bagno, legato alla flebo, quando tirai pugni al muro. Come quelle versate a letto, di fronte alla scritta “qui Dio è morto”. Come quelle versate durante una doccia senza sapone, in mondovisione. Come quelle versate quando completai il drop out. Come quelle versate la notte prima della laurea, quando divenni orfano. Come versate dopo l’incidente in moto, a rischi legali scampati.

Come quelle versate in tantissime altre difficili situazioni con le quali la vita mi ha sfidato, trovandomi vincitore.

Gli anni che passano ci tatuano semplicemente il corpo, ma siamo noi che scegliamo per quale motivo vale la pena tatuarci.

Fatevi avanti 24.

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