E così, la quarantena incominciò pian piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese, a divenire un ricordo lontano. Un spiacevole ricordo, che ogni qualvolta richiamava l’attenzione, non poteva fare a meno di rimembrare quanto traumatiche sarebbero state le sue conseguenze. E quante di quelle, le stavamo ancora metabolizzando, e altrettante, le stavamo ancora vivendo.
Un’esagerato tempo con noi stessi e talvolta con un forzato e perpetuo contatto con indesiderati conviventi ha esorcizzato criticità, acuito lacune, ed ha fatto emergere i più spiacevoli timori.
Sono stati mesi ma specialmente anni che per molti di noi sono stati protagonisti di tempi di mutamenti cruciali, un passaggio all’età adulta diluito con incertezze, paranoie, e imprevedibili sviluppi. A ritmo accelerato, seppur non percepito.
Perché no, non lo avevamo percepito.
E fu così che le immagini riflesse allo specchio alla mattina rivelarono l’infelice verità del cambiamento. E fu così che ci laureammo tra le mura delle stanze che che con coraggio e fatica avevamo abbandonato quando avevamo intrapreso gli studi. E fu così che percorremmo il travagliato iter dell’inserimento nel mondo del lavoro, a suon di incessanti mesi sottopagati. Quando concessi.
E fu così che nell’intersecata realtà post coronavirus dovemmo fare i conti anche con nuove modalità lavorative che prediligevano un’asettico e pressoché inesistente rapporto umano, con imprevedibili conseguenze sulla nostra salute.
E fu così che venimmo travolti dall’abbandono dell’ingenuità. E come, fantasmi del passato tornarono a bussare alle porte delle nostre nuove abitazioni.
Umili investimenti per una vita non all’altezza di quello a cui l’era digitale ci aveva assuefatto.
Una inqualificabile serie di eventi, che ci ha spesso messo in ginocchio.
Oggi rompo un sofferto silenzio narrando un sintetico epilogo di chi non ha, nonostante tutto, ancor oggi, il timore di gridare il mondo che siamo fragili.
Insieme.
