Passanti.

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Le persone tengono alla loro privacy, e temono la sua violazione. E con privacy, intendo la sfera privata ed intima di ognuno di noi, ma quella sincera, quella trasparente, priva di qualsiasi banale ed appariscente tentativo di spettacolarizzazione alla quale siamo sottoposti quotidianamente attraverso ogni tipo di social.

Attraverso le stories inoltre, che ci hanno conquistato in questi ultimi tre anni, siamo in grado di informare e selezionare le informazioni da comunicare abbellendondole perché, se proprio vogliamo mostrarci, dobbiamo farlo al meglio.

Non è ammessa la trasparente vulnerabilità. Persino uno stato od una canzone triste condivisa porta con se un briciolo di abbellimento, il colore, il minuto, il verso, la citazione, il testo.

Perché la piazza si è trasferita nelle nostre case, nelle nostre tasche, nei nostri smartphone, nelle nostre mani. Ed è attraverso le dita delle nostre mani che decidiamo cosa dire al mondo, cosa far ascoltare, ai passanti di questa piazza.

E possiamo addirittura selezionarli, quei passanti, alcuni li escludiamo, ed altri li attiriamo. E più ce ne sono, meglio ci sentiamo.

Pochi sono i coraggiosi e forse ingenui che esprimono le loro emozioni nude e crude, non senza incorrere in conseguenze.

Io l’ho fatto, sono stato nel mio piccolo promotore di questa metodologia comunicativa quando in quel ormai lontano marzo del 2015 aprii il mio blog sinceramente e pericolosamente trasparente.

Io ho gridato in quella piazza. Ho voluto urlare. Ma a me bastava un solo passante. Urlavo per un solo passante. Che in quanto tale, come tutti gli altri, passano. Perché sono passanti. Chi resta, non sta in piazza. E’ seduto sulla panchina, al nostro fianco.

Questo è il primo articolo che scrivo in questo prezioso 2018. Dopo aver detto addio al Campus Universitario di Savona che fu la mia casa per tre singolari anni che hanno visto il peggio di me, aver espresso il mio disagio per il sentore di ineguatezza nei confronti dell’età, e aver trascritto una depersonalizzante introspezione nella quale espongo quello che ho imparato in questi anni cruciali, ora proseguirò raccontandovi un piccolo aneddoto sui passanti.

L’8 giugno ho conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione, un piccolo grande e determinante passo per il mio futuro, col progetto di proseguire gli studi per la specialistica, in una città ancora da definire.

Ho discusso nella mia tesi la distopia del romanzo di Dave Eggers, The Circle. Un argomento che ha fatto storcere il naso a molti, ma che si è rivelato uno studio fondato e condiviso, tant’è vero che due mesi dopo la conclusione della mia tesi un politico statunitense ha pubblicamente avanzato le mie stesse riflessioni durante l’inchiesta contro Mark Zuckerberg, in merito al furto di dati di Facebook nello scandalo di Cambridge Analytica datato marzo 2018. Inutile descrivere il mio senso di soddisfazione e compiacimento.

Compiaciuto per aver imparato ad osare l’ambizione, la mia ambizione, trovando il coraggio di ammettere di fronte al mondo che potesse esisterne una differente da quella socialmente condivisa. Laddove qualcuno vedeva un obbiettivo mediocre, io vedevo la libertà di essere padroni delle proprie scelte.

Un voto mediocre, un successo strabiliante. In mezzo a tante lodi, ho intravisto il mio bacio accademico tra la fila di amici e cari che erano a guardarmi, emozionati, per plurime ragioni, ma tutti per me. Sono stato l’esempio del fatto che non può piovere per sempre, ed è stato bello dimostrare che tra tante nubi si può comunque brillare.

E la sera prima, avevo assistito ad una tempesta. Verso le 20:00 del 7 giugno, tra la lettura di una slide e l’altra, ricevetti un messaggio che mi informava del fatto che la mia madre biologica era mancata, e che la mattina seguente, ci sarebbe stato il funerale.

Il giorno in cui venni proclamato dottore, divenni orfano agli occhi di Dio. Mentre discutevo l’alienazione della società contemporanea, una famiglia che non ho conosciuto piangeva la morte di una madre che non ho mai avuto la possibilità di rincontrare.

Era in programma un incontro, ora resteranno solo testimonianze, di terze persone, che per immotivata e indelicata empatia mi contatteranno raccontando di quanto quella donna, mi abbia amato.

E seppur nell’ignoranza di ignoranza non si può discutere, ora restano solo vie legali per un eredità che mi verrà contestata.

Ma io brillai lo stesso.

Perché su quella panchina, vicino a me, vi erano sedute così tante persone, le mie persone, che non avevo bisogno di urlare in piazza.

Non ho avuto bisogno dei passanti.

Non ho bisogno dei passanti.

Noi non abbiamo bisogno dei passanti.

Per un’esperienza di lettura ottimale del blog consiglio l’ascolto in background di questa playlist:

2 pensieri riguardo “Passanti.

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